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Addio Albertina! La tassista dal golfino rosso. La prima donna tassista d'Italia!



La tassista dal golfino rosso. Così la chiamavano i partigiani che l'avevano convinta a indossare un maglione colorato quando guidava per evitare di ucciderla. Troppo uguale la sua auto scura a quelle sequestrate dai nazisti che imperversavano in zona.

Albertina Cortelloni, classe 1913, una donna emiliana solida, sorridente e grintosa. È stata lei la prima donna tassista d'Italia, guardata con un misto di invidia e disapprovazione nei paesi mentre sgommava sulle strade tra molta polvere e poco asfalto. Pronta ad aggiustare il motore, cambiare le gomme e schivare le pallottole quando ce n'era bisogno. Nata a Renne, una frazione di Pavullo, nel Modenese, ha passato la vita tra famiglia e volante. L'ultima corsa, l'ultimo cliente l'ha portato in Puglia a 85 anni passati, con sessanta di servizio alle spalle senza una multa o un incidente. L'altro giorno, nel caldo del dopoferragosto, se n'è andata a 103 anni. Con accanto amici, parenti ma soprattutto quella fotografia color seppia che le ricordava i suoi anni alla guida, la sua voglia di indipendenza, la passione per auto e motori trasmessa a figlio e a nipote.

I luoghi comuni non facevano per Albertina. Nell'Italia fascista delle donne madri e angeli del focolare lei non ci aveva pensato due volte. Aveva seguito la sua indole, quella curiosità che sin da bambina la portava a gironzolare ovunque ci fossero motori, pistoni, cinghie di trasmissione di qualsiasi tipo, trattori, macchine agricole, "mio padre aveva le macchine per trebbiare", e quelle rare automobili che giravano per il paese.

Erano belle, ma non era quello ad attrarre la ragazzina: a lei piaceva proprio la meccanica, la velocità, e se c'era da metterci le mani, sporcarsi fino ai gomiti quando i motori non ne volevano sapere di partire, lei aveva imparato e a fare da sé, senza chiedere aiuto a nessuno. A 18 anni si era sposata con Mario, professione tassista, e aveva deciso di seguire la strada e il mestiere del marito nonostante a ogni lezione di guida lui insistesse che non era capace. Ma la rispettava, e la lasciava fare infischiandosene dei commenti, di chi pensava che la donna dovesse essere più remissiva e casalinga, dedita alla famiglia.

Testona, determinata, Albertina non si era abbattuta e un bel giorno si era presentata alla commissione esaminatrice. Pilota sì ma sempre femminile, con misura. Curata, gonna e camicia, era entrata sotto gli occhi dei camionisti che la guardavano "come bestie feroci., nessuna donna guidava. Così per avere la patente ho sopportato le pene dell'inferno", ricordava qualche anno fa. Loro ce l'avevano messa tutta a metterla in difficoltà, inganni, trabocchetti, ma alla fine si era portata via l'agognata patente, la licenza di terzo grado per guidare le auto destinate al servizio pubblico. Non senza un ultimo intoppo: era stato necessario l'intervento del ministero perché il prefetto di Modena si era rifiutato di firmare le carte convinto che una donna non avesse capacità, nervi e perizia per guidare un'auto, figuriamoci una pubblica.

Era il 1936, l'anno della guerra in Etiopia, della proclamazione dell'Impero, Mussolini era all'apice della fama. Per Albertina, che come tanti aveva preso la tessera fascista per poter lavorare, quell'anno aveva poco o nulla a che fare con battaglie in terra d'Africa, improbabili imperi e politica. Nella sua memoria il 1936 resta impresso per la sua Topolino 500.

A Pavullo di quei tempi di tassisti ce n'erano tre. Una era lei che non guardava mai negli occhi i passeggeri "perché la gente pensava male, e i colleghi mi guardavano come se fossi il diavolo". Ma i clienti non mancavano: "Mio marito andava piano, chi aveva fretta sceglieva me perché amavo correre", raccontava nelle interviste durante i festeggiamenti dei 100 anni.

Una vita al volante, salutata con i clacson al suo passaggio dagli altri automobilisti stupiti, fino all'ultimo viaggio a 85 anni quando ha portato un cliente a Grottaglie, in provincia di Taranto. Anni trascorsi crescendo i figli e guidando anche le ambulanze, ma soprattutto cercando di non fare l'autostrada "troppo dritta e noiosa" per una come lei abituata alle curve della montagna.

Noiose e sicure certo non erano le strade durante la guerra. Per questo una mattina i partigiani l'avevano avvertita: troppo pericoloso girare così, con quella sua macchina, l'ultima auto pubblica rimasta in giro, così simile a quelle sequestrate dai nazisti. "Albertina hai rischiato grosso, stavo per ucciderti, solo all'ultimo ti ho riconosciuta al volante e mi sono fermato in tempo".

Le avevano pensato tutte, lei e la madre, quella notte alla ricerca di un simbolo, qualcosa per farsi notare dai partigiani ma senza mettere in allarme i nazisti, i fascisti che lei tassista era comunque tenuta a portare. Qualcosa di usuale, che nessuno prendesse come messaggio o codice segreto.

Quella notte la madre mettendo assieme rimasugli di lana le aveva fatto un golfino rosso, lo scudo che avrebbe protetto sua figlia sulla strada del lavoro. Da allora è rimasta per tutti in paese la tassista dal golfino rosso, la prima donna italiana al volante di un'auto pubblica.

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